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IL RIASSUNTO
– Ti posso accompagnare? – sussurrò la lumaca.
– Dimmi prima cosa cerchi – rispose la tartaruga, e
la lumaca le spiegò che voleva conoscere i motivi
della propria lentezza e anche avere un nome, per-
ché l’acqua che cade dal cielo si chiama pioggia,
i frutti dei rovi si chiamano more e la delizia che
cola dai favi si chiama miele. E poi le spiegò che
la sua domanda e il suo desiderio irritavano le
altre lumache, al punto che avevano minacciato
di cacciarla dal prato, e che lei aveva preso la de-
cisione di andarsene e di non fare ritorno finché
non avesse avuto una risposta e un nome.
La tartaruga le raccontò che durante la sua permanenza presso gli umani aveva
imparato che quando un umano faceva domande scomode, del tipo: “Abbiamo
davvero bisogno di tutte queste cose per essere felici?”, lo chiamavano Ribelle.
– Ribelle, mi piace questo nome! – sussurrò la lumaca. – A te gli umani hanno
dato un nome?
– Sì, visto che non ho mai dimenticato la strada di andata né quella del ritorno
mi hanno chiamato Memoria... Ma poi sono stati loro a dimenticare me.
– Allora, Memoria, proseguiamo insieme? – domandò la lumaca.
– D’accordo, Ribelle – rispose la tartaruga.
Arrivarono al limitare del prato. Là iniziava una superficie nera, liscia, che si sten-
deva sul terreno come se un pezzo di pelle della notte vi fosse rimasto attaccato
a coprire le erbe e i fiori selvatici.
Dall’altra parte della striscia scura si vedevano degli esseri umani, alcuni impegnati
a mettere una sopra l’altra quelle che alla lumaca parvero pietre. Stupita, Ribelle
sussurrò che gli umani erano operosi come le api quando costruiscono un favo e
la tartaruga le spiegò che quegli umani stavano costruendo case in cui sarebbero
vissuti altri umani, adulti e cuccioli, che sarebbero arrivati trasportando le loro cose
su grandi animali dalle zampe circolari, forti, veloci e spinti da cuori di metallo.
La lumaca allungò il più possibile il collo e le piccole corna con gli occhi. Quello
che vide ai due estremi della striscia scura le fece venire i brividi.
La tartaruga avvertì il turbamento della lumaca.
– Non so che cosa provo, ma non mi piace – sussurrò la lumaca.
– Si chiama paura, Ribelle, paura.
– Allora non chiamarmi Ribelle. Credevo che questo nome mi avrebbe dato co-
raggio, tanto coraggio.
La tartaruga, con movimenti lenti, molto lenti, girò di nuovo su se stessa e si ad-
dentrò nel prato. Disse alla lumaca quello che ripetevano sempre gli umani: un
vero Ribelle conosce la paura ma sa vincerla.
Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Guanda
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