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IMPARARE FACILE















                               La signora Somaruga  pagina 82



                Interventi di semplificazione sul TESTO ORIGINALE

                Dal giardino della signora Somaruga nessun pallone è mai uscito vivo. La recinzione
                era abbastanza bassa, calcolata in modo da far passare un rimbalzo di media altezza,
                ed era piena di punte aguzze.
                Nel giardino c’erano solo piante grasse: giganteschi cactus spinosi che la signora So-
                maruga disponeva abilmente, in modo che il pallone avesse ben poche vie di scampo.
                E le rose: cespugli che erano perfette macchine da guerra, con duemila spine per fiore.
                Malgrado tutte le attenzioni dei bambini calciatori, nella partita arrivava sempre il
                momento del rimbalzo inatteso; e mentre il pallone, come stregato, si avviava verso il
                recinto spinoso, dai nostri petti veniva fuori un: – Noooooo, dalla Somaruga nooooooo!
                A volte il pallone urtava la cancellata e tornava in strada. Allora lo abbracciavamo, lo
                baciavamo, qualcuno gli chiedeva anche se voleva una bibita. Lo scampato pericolo
                ci rendeva felici per un po’ di tempo. Ahimè, per poco tempo.
                Il giardino stregato attendeva paziente la sua vittima. Un colpo di testa appena un po’
                alto, il portiere che respingeva male con il pugno, un rimbalzo, un urto e il pallone
                piombava nel giardino maledetto.
                Ci arrampicavamo sul muro, di corsa. E lo vedevamo sgonfiarsi su un cactus o su un
                sasso- killer. I nostri occhi si riempivano di lacrime. La signora Somaruga usciva su-
                bito in vestaglia con un ghigno crudele, prendeva il mezzo palloncino sgonfio e ce lo
                rimandava sempre con le stesse orrende parole di scherno “To’, facci un cappellino”,
                aggiungendo una risata diabolica. Poi faceva una carezza al cactus dicendogli “Bravo,
                Antonio” e scompariva nella sua casa urlando: – Andate a giocare in un’altra strada!
                Si dice che, appena il pallone varcava il recinto, suonasse un segnale d’allarme, così la
                strega poteva correre alla finestra e assistere al delitto. Un mio amico, tale Berardini,
                giura che nel giardino della Somaruga di via Ranzani c’erano due cactus semoventi
                che la signora spostava con carrelli telecomandati per poter forare il pallone al volo.
                Nessuno, nessuno poteva sfuggire alla maledizione!
                                                               Stefano Benni, Una razza in estinzione, in “Linus”, Rizzoli
















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